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Impianti cerebrali. Se l’azienda fallisce | MIT Technology Review

Rita Leggett, una donna australiana affetta da una grave forma di epilessia cronica, ha partecipato a una sperimentazione clinica per un impianto cerebrale progettato per aiutare le persone affette da questa condizione.

La sua vita è stata sconvolta quando, dopo due anni, le è stato comunicato che doveva rimuovere l’impianto a causa del fallimento dell’azienda produttrice.

La tecnologia, attraverso questi dispositivi, rende a tutti gli effetti gli utilizzatori dipendenti dalle imprese, questione particolarmente problematica se la salute è coinvolta.

La necessità di rimuovere questo impianto, così come altri simili, potrebbe evidenziare una possibile violazione dei diritti umani, secondo un documento pubblicato di recente da esperti di etica. Questa questione diventerà sempre più rilevante man mano che il mercato degli impianti cerebrali si svilupperà nei prossimi anni e sempre più persone riceveranno dispositivi come quello di Leggett.

“Potrebbero esserci forme di violazione dei diritti umani che non abbiamo ancora compreso“, ha affermato Marcello Ienca, uno degli esperti coinvolti.

Gli autori del documento, Gilbert e Ienca, descrivono la situazione come un rapporto simbiotico in cui due entità traggono vantaggio reciprocamente. Nel caso specifico, la donna ha beneficiato dell’algoritmo che l’ha aiutata a prevedere le sue crisi epilettiche; l’algoritmo ha a sua volta utilizzato l’attività cerebrale di Leggett per migliorare la sua precisione.

Secondo Ienca, se un dispositivo diventa parte integrante di una persona, la sua rimozione rappresenta una forma di modifica del sé, che solleva importanti questioni etiche e dei diritti umani.

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Estratto da:

A brain implant changed her life. Then it was removed against her will. – MIT Technology Review

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