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Neuromante | William Gibson

Il titolo, Neuromante, allude a un doppio gioco di parole, incrocio tra la magia nera del cyberspazio che evoca i fantasmi della mente e un afflato “neo-romantico” di cui il genere non si è mai liberato. Il personaggio di Case, cow-boy della rete mercenario – come i suoi illustri precursori sul grande schermo, Jena (“Snake”) Plissken e Rick Deckard -, non è troppo diverso da Philip Marlowe. Il suo disincanto nei confronti del mondo è si congenito e non frutto di lunghe peripezie e disillusioni (Case è un ragazzo di ventiquattro anni), eppure non gli impedisce di mantenere nel modo più assoluto una fortissima connotazione d’umanità, ancorchè decadente. Non solo Case è in tutto e per tutto umano e vulnerabile. Non solo è un ex drogato, ex enfant prodige dell’hacking. Non solo, come il buon vecchio Jena, ha in corpo una bomba chimica a orologeria. Case è anche – proprio per tutti questi motivi – quello che potremmo definire un antieroe positivo, un cow-boy solitario… dalla prefazione di Wu Ming 4.

Per vendetta hanno privato Case della capacità di connettersi al cyberspazio, isolandolo nella prigione del suo corpo materiale. Ora qualcuno è disposto a offrirgli un’alternativa, a ricostruirgli le sinapsi bruciate, a patto che Case porti a termine un’ultima missione… Non è una coincidenza che Neuromante sia uscito due anni dopo Blade Runner, il film di Ridley Scott che rappresenta il “blues” della nuova fantascienza.

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Estratto da: Neuromante | William Gibson

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