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Al di là delle logiche umane: come l’AI ridefinisce la ricerca scientifica

laboratorio

Nell’articolo “Hypotheses devised by AI could find ‘blind spots’ in research. Artificial intelligence is asking questions that humans hope to answer” di Matthew Hutson, pubblicato su Nature del 17 novembre, si legge che l’intelligenza artificiale (AI) traina la ricerca grazie alla sua capacità di analizzare grandi quantità di dati e di generare ipotesi innovative.

 L’AI ha la capacità di generare ipotesi inusuali, “aliene”.  Don Swanson, ad esempio, ha sviluppato software per individuare relazioni indirette tra concetti scientifici, ipotizzando il potenziale impiego dell’olio di pesce nel trattamento della sindrome di Raynaud, un’idea che successivamente si è dimostrata corretta.

James Evans, insieme al collega Jamshid Sourati, ha sviluppato algoritmi che trovato collegamenti insoliti tra molecole e proprietà, andando oltre le connessioni ovvie o dirette che gli esseri umani potrebbero facilmente individuare. Quindi l’AI accelera notevolmente la scoperta dei farmaci e contribuisce a soluzioni innovative in campo medico.

L’AI genera ipotesi  generali sui comportamenti. Ad esempio, l’AI  individua correlazioni tra determinate caratteristiche facciali dei presunti criminali e le decisioni giudiziarie. In questo modo l’AI potrebbe servire a smascherare i pregiudizi umani.

In sintesi, a commento dell’articolo, potremmo rilevare che la capacità analitica dell’AI potrebbe aiutarci non solo nelle scoperte innovative, ma anche a capire meglio chi siamo, quali sono i nostri preconcetti.

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