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La Cassazione dice sì al rating reputazionale se il consenso è validamente prestato

La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un sistema algoritmico che alimentava una piattaforma web concepita per il rating reputazionale di persone fisiche e giuridiche.

La piattaforma – pur con nobile scopo consistente nel porre fine ai profili “artefatti o inveritieri” – veniva a basarsi sul calcolo imparziale del rating reputazionale degli utenti censiti, al fine di una verifica di reale credibilità degli stessi.

Così, già nel novembre del 2016, agli albori dell’entrata in vigore del GDPR, l’allora Autorità Garante Privacy, formata dal precedente Collegio, vietò all’Associazione creatrice della piattaforma “il trattamento presente o futuro dei dati personali”. L’Ente impugnò questo provvedimento innanzi al Tribunale di Roma, che accolse parzialmente il ricorso, annullando il provvedimento “per tutto quanto non concerneva il trattamento dei dati personali per l’attività inerente al c.d. profilo contro riguardante soggetti terzi non associati”.

Il Garante della Privacy, a sua volta, ha impugnato ricorrendo per Cassazione sulla base del fatto che la piattaforma web avrebbe inciso negativamente sulla dignità delle persone. La Suprema Corte, per contro, ha cassato con rinvio la decisione del Giudice di prime cure, ritenendola “… viziata sotto il profilo delle condizioni di legittimità del trattamento dei dati personali degli stessi aderenti al sistema in base al consenso”.

Ritiene, infatti, la Cassazione, nel caso di specie, che “sono presenti tutti gli elementi per considerare il consenso validamente prestato” poiché, sempre nella vicenda che occupa, “è richiesto che l’aspirante associato sia in grado di conoscere l’algoritmo, inteso come procedimento affidabile per ottenere un certo risultato o risolvere un certo problema, che venga descritto all’utente in modo non ambiguo ed in maniera dettagliata, come capace di condurre al risultato in un tempo finito”.

Ecco, dunque, la chiave: non importa quanto complicata sia la formula matematica sottesa al sistema algoritmico, basta che l’iter procedimentale venga spiegato all’utente/interessato in modo semplice.

D’altra parte, non è richiesto agli utenti, né avrebbe senso che lo fosse, di comprendere il linguaggio scientifico a fondamento delle soluzioni algoritmiche. È infatti più che sufficiente che gli utenti siano resi edotti della sussistenza di un algoritmo, e nulla di più.

Leggi l’articolo completo:

Trasparenza dell’algoritmo, la Cassazione: sì al rating reputazionale, se in linea con la privacy – Cybersecurity 360

Immagine di copertina via DuckDuckGo

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