Cerca
Close this search box.

Quando viene introdotta una nuova tecnologia, nel nostro caso l’AI, viene presentata dai gruppi di interesse come qualcosa di inevitabile, che porta necessariamente ad un progresso, che svecchia l’esistente. Chi fa notare che non è necessariamente così, viene accusato di essere contrario all’innovazione, di essere un conservatore.

Ma se guardiamo a quanto è successo nella storia, vediamo che l’inevitabilità dell’introduzione della tecnologia non esiste, che le resistenze alla sua introduzione sono giustificate da equilibri precedenti, che l’introduzione della tecnologia, anche se può portare a medio termine dei vantaggi (e a lungo termine dei rischi esistenziali, come vediamo oggi con la crisi climatica), è possibile solo tramite l’espropriazione di spazi, risorse e attività preesistenti, spesso bene comune di tutti. E questa espropriazione non è né indolore, né avviene senza resistenze, ma soprattutto è il risultato di un’opera di lobbying del legislatore e persuasione dell’opinione pubblica tramite nuove narrazioni e strategie retoriche.

Un esempio chiaro di queste dinamiche è stata la trasformazione negli anni ’20 delle strade: da commons dove si svolgeva la vita della comunità alle strade come le conosciamo noi oggi, dove le automobili regnano sovrane. Solo oggi ci rendiamo conto dei risultati di questa operazione e con difficoltà riusciamo a reintrodurre un uso diverso e collettivo delle strade, con la pedonalizzazione delle strade del centro o vicino alle scuole, con la limitazione della velocità a 30km/h, con la costruzione di piste ciclabili.

Dopo il rilassamento dei vincoli dei Red Flag act a inizio ‘900 si avverano i timori per la situazione nelle strade che sono sempre più utilizzate dai veicoli a motore mentre restano ancora il centro della vita delle città: piene di banchetti di ambulanti, bambini che giocano, gruppi che discutono, gente che attraversa in ogni punto senza guardare. Allora erano le automobili a dover fare attenzione ai pedoni, non avevano la precedenza, e tipicamente quando si finiva in tribunale la colpa dell’incidente veniva data dal giudice al veicolo più ingombrante. Così, negli anni venti le vittime di incidenti, quasi tutti pedoni, salirono sopra le 10.000 all’anno.

Ma il passaggio alle strade come le conosciamo oggi, e come ci sembra quasi naturale e inevitabile che siano, con pedoni che attraversano solo sulle strisce pedonali col semaforo verde facendo comunque attenzione alle automobili, non è frutto di una transizione naturale, ma il risultato di una esplicita e pressante opera di comunicazione e lobbying negli Stati Uniti da parte del gruppo di industriali National Automobile Chamber of Commerce e degli altri attori favorevoli alle automobili.

La prima reazione dei cittadini al massacro dei pedoni fu infatti di denuncia e si nacquero gruppi di attivisti per proteggere le strade dalle automobili, che allora venivano viste prima di tutto solo come oggetti di lusso. I giornali erano dalla parte dei cittadini, si auspicava l’istallazione di limitatori di velocità nei veicoli, si firmavano petizioni.

Questi umori scatenarono la reazione dei gruppi industriali automobilistici, concessionari, appassionati di automobili, che cominciarono a fare pressione per cambiare il quadro normativo, in modo che le restrizioni sulla circolazione ricadessero sui pedoni e non sulle automobili. Queste attività di lobbying portarono addirittura a incontrare l’allora Ministro per il commercio, il futuro presidente Herbert Hoover, per definire dei modelli di legge da fare adottare alle municipalità, che imponessero prima di tutto di attraversare le strade solo sulle strisce pedonali.

Ma come si sa, le leggi non bastano, se non sono condivise e non sono applicate tramite sanzioni. E quindi gli industriali delle quattro ruote dovettero adottare una serie di altre strategie.

La prima fu di indirizzare la stampa, creando addirittura un sistema in cui i giornalisti potevano inviare via telegramma i dati dell’incidente e ricevere un articolo intero che evidenziava la colpa del pedone che non aveva rispettato le regole [non possiamo fare notare che si tratta di un sistema antesignano di quanto potrebbe succedere oggi nel giornalismo tramite l’AI anche se all’ora si trattava di intelligenza naturale].

La seconda di sponsorizzare campagne sulla sicurezza nelle scuole, dove si ridicolizzavano i bambini che non seguivano le regole di attraversamento della strada.

La terza proseguiva questa tattica della “vergogna”, vista dagli “automobile club” come il più efficacie deterrente: vignette satiriche, attori pagati per fare scenette in mezzo alla strada, lobbying affinché i vigili fischiassero e urlassero contro i pedoni irrispettosi delle regole.

Addirittura si ricorre all’introduzione di una nuova parola nel lessico, “jay walker” per indicare una persona che non sa comportarsi civilmente per strada, mettendo a rischio la sicurezza pubblica.

Ne parla estensivamente Peter Norton nell’articolo “Street Rivals: Jaywalking and the Invention of the Motor Age Street“, qui intervistato da Vox:

Accedi per vedere questi contenuti

registrati se non lo ha ancora fatto