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New York Times vs OpenAI e Microsoft: si può applicare la norma del “fair use”?

La disputa legale tra il New York Times, da un lato, e OpenAI e Microsoft, dall’altro, ruota attorno all’accusa di violazione del copyright del New York Times. La querela sostiene che le due aziende tecnologiche abbiano illegalmente utilizzato “milioni” di articoli protetti dal copyright del Times per sviluppare i modelli di intelligenza artificiale di strumenti come ChatGPT e Bing. Questo caso, l’ultimo di una serie di cause attive, potrebbe influenzare significativamente l’industria dell’IA generativa.

OpenAI e Microsoft difendono la propria posizione sostenendo il concetto legale di “uso equo”. Il principio giuridico del “fair use” distingue tra la riproduzione verbatim di un’opera altrui – generalmente illegale – e la sua “remixing” o utilizzo creativo. Tuttavia, l’aspetto complesso delle intelligenze artificiali è che sembrano fare entrambe le cose, creando nuove versioni di opere esistenti e memorizzando anche copie quasi esatte, il che tradizionalmente viola la legge sul copyright.

Il New York Times, nella sua replica, sostiene che né nell’input né nell’output si può parlare di “uso equo”. Nel caso specifico, l’input riguarda la scansione digitale e la copia degli articoli del Times inclusi nei grandi set di dati utilizzati per addestrare i modelli di intelligenza artificiale. D’altra parte, l’output fa riferimento ai casi in cui il modello linguistico GPT-4 di OpenAI, utilizzato in ChatGPT e Bing, sembra riprodurre riassunti dettagliati di articoli protetti da paywall o intere sezioni di articoli specifici del Times.

La difesa delle aziende tecnologiche potrebbe attingere al precedente del caso Google Books. In tale situazione, Google ha digitalizzato milioni di libri coperti dal copyright, sostenendo che mostrare solo “stralci” in risposta alle ricerche costituiva un servizio fondamentalmente diverso e non danneggiava il mercato dei libri. La Corte d’Appello federale ha concordato con Google nel 2015. Questo precedente potrebbe essere invocato da OpenAI e Microsoft per sostenere la legittimità del loro uso delle opere protette dal copyright.

Il caso del New York Times potrebbe essere influenzato dalla recente decisione della Corte Suprema in una controversia riguardante l’utilizzo da parte dell’artista Andy Warhol di una fotografia della rockstar Prince. Secondo la Corte, se la copia è fatta per competere con l’opera originale, non si può parlare di uso equo. Pertanto, la situazione del Times potrebbe dipendere in parte dalla capacità di dimostrare che prodotti come ChatGPT e Bing concorrono e danneggiano il suo business.

La vicenda è ancora in fase di sviluppo e il risultato finale è incerto. Mentre le aziende tecnologiche potrebbero sostenere che la formazione dei modelli di AI rientra nell’uso equo, il New York Times cerca di dimostrare che sia l’input che l’output costituiscono una violazione del copyright. La questione potrebbe influenzare profondamente l’industria dell’AI generativa, e la sentenza finale potrebbe plasmare il futuro delle questioni legali legate all’uso delle intelligenze artificiali.

La disputa in corso tra il New York Times, OpenAI e Microsoft effettivamente solleva questioni più ampie sulla definizione della proprietà intellettuale nel contesto di un mondo sempre più connesso e influenzato dall’IA generativa.

La circolazione delle idee e l’accesso a vasti set di dati sono fondamentali per l’allenamento efficace dei modelli di intelligenza artificiale, ma al contempo, le aziende e gli individui che generano tali dati desiderano proteggere i loro diritti di proprietà intellettuale.

Il bilanciamento tra la libera circolazione delle idee e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale diventa cruciale per sostenere l’innovazione e garantire equità tra le parti coinvolte.

Il compito non è facile proprio perché, come ha detto James Grimmelmann, “l’AI generativa rappresenta questa grande trasformazione tecnologica che può creare una versione remixata di qualsiasi cosa”.

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